Pokémon deve guarire dalla sindrome di Peter Pan

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Nasce, evolve, diverte comunque.

1 marzo 2019, mi esprimevo in modo molto critico dopo il primo trailer di Pokémon Spada e Pokémon Scudo. Troppo presto per giungere a conclusioni affrettate? Sicuramente, ma a quanto pare, a gioco spulciato e vissuto per bene, non ci ero andato tanto lontano.

Lasciare i due nuovi giochi sullo scaffale un po’ mi ha fatto piangere il cuore: a parte UltraSole e UltraLuna (che ritengo dei DLC a prezzo pieno), non ho mai saltato un capitolo Pokémon, quindi prendere quella decisione è stata molto dura per uno che è cresciuto con Pokémon Rosso ed è arrivato agli allora 25 anni con Solgaleo in copertina. Eppure il videogiocatore maturo e allo stesso tempo stufo dell’operato di Game Freak che è in me alla fine ha prevalso sul fanciullo a cui basta scegliere lo starter per entrare nel magico mondo dei Pokémon, dimenticando tutto il resto.

Bella l’evoluzione grafica, ora miglioriamo anche tutto il resto?

Il problema dunque nasce dal fatto che sono troppo grande per Pokémon? Non credo.

D’altronde gioco ancora con piacere a Super Mario, a Zelda, ho amato giochi “buffi” come Little King’s Story, amo i versetti dei Pikmin, impazzirei per un nuovo Banjo-Kazooie, non ho aspettato nemmeno un secondo ad acquistare Dragon Ball FighterZ in sconto sull’eShop.

Il problema non è che noi siamo cresciuti e che il target di Pokémon è per i giovani, il problema è che in quasi venticinque anni il franchise non è cresciuto e vuole trattare solo con i bambini, come un eterno Peter Pan.

Immaginiamoci gli attori di questa storia:

  • Peter Pan, il protagonista assoluto, rappresentato dalla saga Pokémon
  • Trilli, la “magia” che continua a fare amare la serie nonostante tutto
  • Wendy e i suoi fratelli, tutti i vecchi giocatori che, con il tempo, sono cresciuti
  • I bimbi sperduti, tutti i giocatori che continuano a difendere la serie nonostante l’età avanzi, perché alla fine “l’importante è che diverta
  • Capitan Uncino, il cui ruolo può essere diviso tra Game Freak, The Pokémon Company, Creatures Inc. (forse non più) e Nintendo stessa.

L’Isola Che Non C’è è quel lembo di terra in cui chi si accontenta gode, non vedendo al di là del proprio naso e ignorando che oltre il mare la vita continua, gli anni passano, che siamo nel 2019 e prossimi al 2020.

Gli attori di un film che deve cambiare.

Gli attori e il setting ce l’abbiamo, ma qui il problema è serio, più o meno. La sindrome di Peter Pan è una condizione psicologica riconosciuta e se la serie Pokémon fosse una persona, ne sarebbe il perfetto esempio. Una saga ancorata alle certezze del passato, un passato che sarebbe sbagliato tralasciare visto il successo avuto e visto che, alla fin dei conti, è una base solida su cui poter lavorare, ma su cui è sbagliato fossilizzarsi.

Il problema è che Pokémon in questi anni è rimasto un bambino a cui hanno cambiato gli abiti, hanno tagliato i capelli in modo differente, ha vissuto esperienze e conosciuto nuovi amichetti, ma che sempre bambino rimane.

Non c’è stata una vera evoluzione (paradossale in un gioco in cui le creature crescono evolvendosi), non c’è stato un adattamento ai tempi moderni. Perché no, aggiungere quelle due/tre feature a gioco non basta, migliorare la grafica (rimanendo comunque di qualche generazione fa) non rende un gioco moderno, d’altronde Breath of the Wild non resterà nella storia dei videogiochi per la grafica spaccamascella.

Pokémon ha paura di crescere e di abbandonare meccaniche plurirodate o semplicemente ci troviamo di fronte alla svogliatezza di un team di sviluppo a cui, più o meno giustamente, importa solo fare guadagni?

Non basta aumentare di volume per crescere.

Non vorrei parlare solo di Spada e Scudo, visto che dopo il picco raggiunto con Bianco 2/Nero 2 c’è stato un tracollo inesorabile, ma gli ultimi capitoli rappresentano perfettamente la situazione.

Qui non si tratta di una nuova generazione di creature belle o brutte, non si tratta di regioni più o meno ispirate, quelle sono cose che per quanto il lavoro dietro possa essere grande, troverà sempre qualcuno che esordirà con un “a me non piace”. I gusti son gusti, ma su certe cose non si può che essere oggettivi, a meno di essere un bimbo sperduto.

Davvero nel 2019 dobbiamo avere una grafica che richiama il nostro amato Wii? E non parlo di fotorealismo che mai troveremo (per fortuna) in Pokémon, ma di cose che ormai persino nei giochi mobile sono più curate: dalle texture agli stessi modelli poligonali, dalle animazioni – benedette animazioni – che non facciano sembrare i personaggi dei tronchi di legno, e su quest’ultimi soprassiederei.

Finalmente la telecamera libera pensavamo, in un mondo completamente esplorabile in tre dimensioni sognavamo, ma la polvere di Trilli finisce e torniamo con i piedi per terra: una vasta area vuota, con clima basato sulle zone e non sul trascorrere del tempo, pop-in a 10 metri di distanza, freeze del mondo e i suoi abitanti quando ci si arrampica, insomma una delusione.

Pokémon che se la ride di gusto insieme alla “magia” perché continuano a fregarci

Passano gli anni, piccole e poche novità vengono introdotte, ma siamo davvero ancora fermi al passato. Davvero non è possibile avere delle lotte con movimento libero? Un avvicinamento alle meccaniche di Dragon Quest XI a me non dispiacerebbe di certo; alla fin fine le animazioni di movimento per tutti i Pokémon sono state create per il camping, quindi perché non sfruttarle per qualcosa di più spettacolare come lotte movimentate? No, meglio vedersi un Iper-Raggio sparato in faccia (e che parte dalla faccia) mentre il nostro amato Pokémon è fermo e contento di essere eliminato.

Non sarebbe poi così assurdo avere un mondo di gioco vivo, con NPC ben caratterizzati e con motivazioni che ci portano ad interagire con loro, ad aiutarli, a sfidarli perché così possiamo ottenere uno strumento utilissimo al proseguimento dell’avventura, ma non indispensabile. È davvero impossibile avere una trama interessante (spoiler: no, visto che l’abbiamo avuta con Nero/Bianco), con un protagonista a cui affezionarsi per le decisioni che prende nel corso della storia? E per bontà divina di Arceus, un doppiaggio stile Pokémon Masters o Luigi’s Mansion, con versi accennati che possano delineare il carattere di una persona?

Sognare un post-game che permetta di raggiungere aree prima inaccessibili, tornei, raid multiplayer, nuove missioni secondarie che possano far luce sul background storico di diversi personaggi, eventi che permettano la cattura di nuovi Pokémon leggendari o non, ma che tengano comunque alta a lungo la motivazione e che non facciano riporre il gioco nella custodia una volta finita la storia principale se non ci si dedica al competitivo.

Qui non si chiede che Pokémon evolva in ciò che non è, non si vuole una trasformazione come avvenuta per Final Fantasy, si vuole semplicemente che una delle serie videoludiche più importanti al mondo sia al passo con i tempi, tutto qui.

Qualcosa simile a questo no eh?

Ho citato Final Fantasy e Dragon Quest XI, serie che hanno osato nel corso degli anni, magari non accontentando tutti i fan, ma le vendite non sembrano averne risentito. Game Freak ha paura di scontentare i fan più accaniti? Assolutamente no, Pokémon vende sempre e comunque, anche con giochi meno ispirati del solito, appunto. È il coraggio e la voglia di osare che manca.

Abbiamo avuto un Metroid in prima persona con Prime, quasi sacrilegio a pensarlo all’epoca, ora bramiamo l’arrivo del quarto capitolo. Una delle saghe horror più famose di sempre, Resident Evil, ha rivoluzionato completamente il gameplay con RE4, uno dei più amati, per poi farlo nuovamente con RE7, forse non tra i più osannati, ma sicuramente un esperimento ben riuscito.

Dobbiamo poi parlare di God of War che da hack’n slash diventa un action “ragionato” con il capitolo del 2018? Si è adattato ai tempi, o magari semplicemente ha osato.

Ma non serve andare lontano negli anni e su piattaforme diverse quando su Wii U e Switch abbiamo The Legend of Zelda: Breath of the Wild, il capitolo della serie che ha rotto totalmente con il passato, segnando l’inizio di una nuova era per la saga.

Sì bimbi, è cresciuto e cambiato ma è sempre lui.

Perché non può accadere lo stesso con Pokèmon? Perché non c’è voglia da parte di Capitan Uncino, e perché i giochi vendono sempre, e qui la colpa è degli abitanti dell’Isola Che Non C’è. Bisogna essere più Wendy e meno bimbi sperduti, una volta vissuta una bellissima avventura bisogna staccarsi dal passato e crescere, ciò non vuol dire che l’amore per qualcuno o qualcosa possa finire.

D’altronde il capolavoro del 1991, Hook – Capitan Uncino, ci mostra un Peter cresciuto, lontano dalle avventure e dalle terre che lo hanno reso popolare ed eroe, ma non per questo non amato dai “suoi bambini” una volta tornato sull’Isola.

Crescere non vuol dire allontanarsi da chi si è stati, ma solo essere al passo dei tempi e rendere felici tutti, la moglie che ti ha sposato ora che sei un Peter adulto e avvocato, e i bambini che vedono in te sempre il solito, fantastico, Peter Pan.

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